Prima di entrare nel merito della controversia, sia consentito fare un breve riepilogo della materia. Infatti, la PA amministrazione, da un lato, e buona parte della giurisprudenza del territorio, dall’altro, ritengono dogmaticamente necessario valutare gli elementi della invisibilità o della imprevedibilità dell’insidia, come unico argomento utile ad atteggiare la responsabilità del custode, di guisa che, in mancanza di tale dimostrazione da parte del danneggiato, non dovrebbe avere ingresso nel processo alcun riconoscimento di responsabilità e conseguentemente alcun risarcimento del danno1.
La maggioranza della dottrina recente e la più attenta giurisprudenza della Corte regolatrice opta per un caso di responsabilità oggettiva. La Cassazione sposta la tesi in parola, ufficialmente, dal 2008 in poi (Cass. Civ. 25 lulgio 2008 n. 20427). Nella giurisprudenza di più recente conio, la Cassazione muta l’indirizzo affermando che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia “ha carattere oggettivo e, perchè possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta”. Deriva da quanto precede che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia (Cass. Civ. Seaz. III 19 gennaio 2010 n. 713; Cass. Civ. Sez. III ordinanza 29 dicembre 2009 n. 27635; Cass. Civ. 19 febbraio 2008 n. 4279), ovvero dalle rilevanti dimensioni del bene (Cass. Civ. Sez. III 1 ottobre 2009 n. 21072; Cass. Civ. Sez. III 20 novembre 2009 n. 24529; Cass. Civ. Sez. III 1 ottobre 2009 n. 21072)2.
Pertanto, atteso che la responsabilità per danni ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente tra la cosa dannosa e colui il quale ha l’effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode, deve concludersi che, perchè sorga la responsabilità del custode, occorre “da un lato, che il danno sia prodotto nell’ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l’insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorchè provocato da elementi esterni e, dall’altro, che la cosa, pur combinandosi con l’elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno; l’attore, pertanto, deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo nonché dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare la esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il “caso fortuito”, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cass. Civ. Sez. III ordinanza 18 dicembre 2009 n. 26751; Cass. Civ. 29 novembre 2006 n. 25243). Resta fermo che per “caso fortuito” debba intendersi anche il fatto del terzo e il fatto dello stesso danneggiato, purchè detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. Civ. 19 febbraio 2008 n. 4279). Applicando i riferiti principi ai danni causati dal bene in custodia della PA e in uso alla generalità, la più recente giurisprudenza della Corte ha evidenziato che il giudice, ai fini del’imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso, “non può arrestarsi di fronte alla natura giuridica del bene o al regime o alle modalità di uso dello stesso da parte del pubblico, ma è tenuto ad accertare, in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione di fatto che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto origine l’evenienza che ha prodotto il danno, sia o meno riconducibile alla fattispecie della relativa custodia da parte dell’ente pubblico” (Cass. Civ. 19 febbraio 2008 n. 4279). Ove tale accertamento risulti compiuto con esito positivo, la domanda di risarcimento va giudicata in base all’applicazione della responsabilità da cose in custodia, dovendo valutarsi anche l’eventuale concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 cc (Cass. Civ. 8 agosto 2007 n. 17377). Pertanto, va superata, ed una volta per tutte, la ridetta ancestrale ed obsoleta concezione degli enti convenuti, secondo i quali il danneggiato debba ricorrere contro la PA solo nei casi di pericolo occulto con conseguente dimostrazione del presupposto dell’invisibilità e dell’imprevedibilità.
In sintesi, agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito in linea generale, è applicabile l’art. 2051 cc in riferimento alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificatamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. Civ. 29 marzo 2007 n. 7763; Cass. Civ. Sez. III 13 gennaio 2003 n. 298). La materia, conclusivamente, approda ai principi seguenti:
-
nelle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura, l’uso generalizzato e l’estensione della res costituiscono dati irrilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode; gli elementi oggettivi e soggettivi dell’invisibilità ed imprevedibilità possono atteggiarsi solo come eventuale concorso colposo del danneggiato, ma non come cause di esclusione del risarcimento3.
-
i caratteri dell’imprevedibilità e della invisibilità potranno configurare il fortuito4 (esclusione di responsabilità dell’ente, per intenderci) solo per le situazioni provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa.
1 Due premesse sono opportune.
La prima: la pubblica amministrazione è proprietaria e custode del demanio stradale pubblico. Quale proprietaria delle strade pubbliche, l’obbligo di relativa manutenzione in capo alla PA discende non solo da specifiche norme ma anche dal generale obbligo di custodia. L’art. 14 cs, poi, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, attribuisce specificamente agli enti proprietari delle strade il compito di provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia della strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposione e manutenzione della segnaletica prescritta.
La seconda. Va, in termini generali, osservato che l’assoggettamento della PA alle regole di diritto privato, e la considerazione della medesima su un piano di parità con gli altri soggetti quando agisce iure privatorum nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione, risponde ormai ad un’esigenza pienamente avvertita dalla coscienza sociale. Riflesso di una crescita e di una progressiva maturazione della concezione degli status e dei rapporti intersoggettivi, la (ri)considerazione della posizione della PA continua a proporsi come indefettibile momento di valutazione e controllo del processo di evoluzione e dello stadio di attuazione sul piano giuridico del corrispondente perocorso ideale. Nello svolgersi di tale iter, che non può dirsi invero ancora compiuto, valore significativo e pregnante assume la riconosciuta applicabilità alla PA di regole e principi fondamentali come, in particolare, quello dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nei rapporti contrattuali.
Non si può fare a meno di notare che la Suprema Corte, nella sua evoluzione concettuale, originariamente avesse escluso l’applicabilità dell’art. 2051 alla PA, riconoscendogli il generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 cc. Nell’affermare conseguentemente necessaria la predisposizione di accorgimenti tecnici volti ad evitare danni a terzi, nonché la valutazione del comportamento colposo generatore del danno per violazione di specifici doveri di comportamento stabiliti da norme di legge o di regolamento (che per quanto attiene alle strade si traduce nell’obbligo di controllo, vigilanza, manutenzione in modo tale da evitare che possa scaturirne danno per gli utenti che sullo stato di praticabilità delle stesse ne ripongono ragionevole affidamento), la giurisprudenza è andata d’altro canto elaborando il concetto di insidia o trabocchetto determinate un pericolo occulto, per il carattere oggettivo della non visibilità e soggettivo della non prevedibilità. Della ricorrenza dell’insidia o trabocchetto, nonché della carenza o dell’inadeguatezza della prescritta attività di controllo, vigilanza e manutenzione da parte della PA, l’onere della prova è stato peraltro addossato al danneggiato, asseritamente in ossequio alla regola generale in tema di responsabilità civile extracontrattuale secondo cui la prova degli elementi costitutivi dell’illecito è a carico del danneggiato (Cass. Civ. 4 giugno 2004 n. 10654; Cass. Civ. 30 lulgio 2002 n. 11250; Cass. Civ. 12 giugno 2001 n. 7938; Cass. Civ. 17 marzo 1998 n. 2850).
Successivamente, la responsabilità per danni a cose in custodia ex art. 2051 cc è stata ritenuta configurabile anche nei confronti della PA, seppure limitatamente ai beni demaniali o patrimoniali di non notevole estensione e non suscettibili di generalizzata e diretta utilizzazione da parte della collettività (Cass. Civ. 30 ottobre 1984 n. 5567). L’applicabilità dell’art. 2051 è stata pertanto affermata con riferimento a beni che consentono in concreto un controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo, tali considerandosi la villa comunale (Cass. Civ. 7 gennaio 1982 n. 58), la rete fognaria (Cass. Civ. 2 aprile 2004 n. 6515; Cass. Civ. 4 aprile 1985 n. 2319), la galleria di una stazione ferroviaria destinata esclusivamente al personale dell’amministrazione e protetta da un cancello (Cass. Civ. 20 marzo 1982 n.1817), le pertinenze e gli arredi della stazione ferroviaria, funzionalizzati allo scopo di consentire l’uscita dei passeggeri dalla medesima (Cass. Civ. 1 luglio 2005 n. 1409), il trefolo e la fune di guardia di una linea elettrica ad alta tensione di proprietà del’Enel (Cass. Civ. 15 gennaio 1996 n. 265), l’albero del cimitero comunale (Cass. Civ. 21 gennaio 1987 n. 526). Stante l’uso generale e diretto consentito a chiunque e l’estensione della rete, si è infatti considerato praticamente impossibile l’esercizio da parte della PA di un continuo ed efficace controllo idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi in relazione a beni del demanio marittimo, fluviale, lacuale ed a strade, autostrade, strade ferrate appartenenti allo Stato (Cass. Civ. 27 marzo 1972 n. 976; Cass. Civ. 30 ottobre 1984 n. 5567; Cass. Civ. 28 ottobre 1998 n. 10759; Cass. Civ. 31 luglio 2002 n. 11366; Cass. Civ. 25 novembre 2003 n. 17907; Cass. Civ. 7 febbraio 2005 n. 2410; Cass. Civ. 27 gennaio 2005 n. 2410; Cass. Civ. 8 aprile 2003 n. 17907; Cass.Civ. 9 luglio 2002 n. 10577; Cass. Civ. 26 gennaio 1999 n. 699; Cass. Civ. 22 aprile 1998 n. 4070; Cass. Civ. 16 giugno 1998 n. 5990; Cass. Civ. 27 dicembre 1995 n. 13114). Con specifico riguardo alle strade, l’applicabilità dell’art. 2051 cc, senz’altro esclusa con riferimento a quelle statali (Cass. Civ. 21 dicembre 2001 n. 16179) e alle autostrade (Cass. Civ. 4 dicembre 1998 n. 12314; Cass. Civ. 1 dicembre 1988 n. 921), è stata viceversa ammessa relativamente alle strade di proprietà del Comune (Cass. Civ. 23 luglio 2003 n. 11446; Cass. Civ. 20 novembre 1998 n. 11749, Cass. Civ. 21 maggio 1996 n. 4673; Cass. Civ. 27 gennaio 1988 n. 723; Cass. Civ. 21 gennaio 1987 n. 526; Cass. Civ. 3 giugno 1982 n. 3392; Cass. Civ. 14 ottobre 1972 n. 3060) o della Provincia (Cass. Civ. 14 ottobre 1970 n. 2020) alle pertinenze della sede stradale, come le ripe dei fondi laterali (Cass. Civ. 14 luglio 204 n. 13087), alle scarpate, sia costituenti sostegno di una strada sovrastante sia a loro volta sovrastanti un’altra strada (Cass. Civ. 28 ottobre 1998 n. 10759), alle zone limitrofe alla sede stradale di proprietà della PA (Cass. Civ. 20 febbraio 2006 n. 3651; Cass. Civ. 31 luglio 2002 n. 11366; Cass. Civ. 25 novembre 2003 n. 17907), alla struttura e alle pertinenze delle autostrade (Cass. Civ. 15 gennaio 2003 n. 488; Cass. Civ. 13 gennaio 2003 n. 298; Cass. Civ. 27 dicembre 1995 n. 13114). Pur in un quadro di limitata applicazione alle regole di responsabilità civile in materia di strade, la figura dell’insidia o trabocchetto, è stata, comunque, ritenuta segnare un limite all’agire discrezionale della PA. Tale quadro interpretativo è stato autorevolmente avallato anche dalla Corte Costituzionale. Nel dichiarare non fondata la questione, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051, e 1227 comma I cc e, nel dare atto che costituisce il portato di “una complessa e sempre più raffinata elaborazione, che ebbe inizio sin dalla entrata in vigore della legge 20 marzo 1865, all. E, abolitrice del contenzioso amministrativo, passando poi attraverso varie fasi”, al Consulta (Corte Cost. 10 maggio 1999 n. 156) ha infatti affermato che la PA è responsabile nei confronti dei privati per difetto di manutenzione delle strade allorquando non abbia osservato le specifiche norme e le comuni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell’integrità personale e patrimoniale dei terzi, in violazione del principio fondamentale del neminem laedere, a tale stregua venendo “a superare il limite esterno della propria discrezionalità, con conseguente sua sottoposizione al regime generale di responsabilità dettato dall’art. 2043 cc”. E nella nozione di “insidia stradale” essa ha in tale occasione ravvisato una “figura sintomatica di colpa”, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale “mediante sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio”. Onere probatorio che ha peraltro – come detto – finito per addossare al danneggiato. D’altro canto, la Corte Cost. n. 156/1999 ha dato atto dell’ “approdo ermeneutico” della giurisprudenza di legittimità secondo cui non viola il dettato costituzionale l’interpretazione dell’art. 2051 cc che ne esclude l’applicabilità alla PA, “allorchè sul bene di sua proprietà non sia possibile – per la notevole stenzione di esso e le modalità d’uso diretto e generale, da parte di terzi – un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti”: Il giudice delle leggi ha peraltro qualificato la “notevole estensione del bene” e “l’uso generale e diretto da parte dei terzi” quali meri indici dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo. Impossibilità che afferma non potere farsi discendere dalla mera natura demaniale del bene, dovendo essa se del caso riscontrarsi solamente all’esito “di una indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo e secondo criterio di normalità”.
Da un canto si è ribadita l’inapplicabilità della presunzione di responsabilità dell’art. 2051 cc nei confronti della PA per quelle categorie di beni demaniali, come le strade pubbliche, oggetto di utilizzazione generale e diretta da parte di terzi (Cass. Civ. 7 febbraio 2005 n. 2410), indicandosi il referente normativo per l’inquadramento della relativa responsabilità nella regola generale di cui all’art. 2043 cc. D’altro canto, la Corte (Cass. Civ. 13 gennaio 2003 n. 298) ha fatto luogo ad una rimeditazione della questione, anche alla luce della citata sentenza della Corte Costituzionale. E’ pervenuta quindi ad escludere anzitutto l’automatismo” interpretativo sopra segnalato secondo cui la ricorrenza delle caratteristiche della a) demanialità o patrimonialità del bene, b) dell’uso diretto della cosa e c) dell’estensione della medesima sarebbero da ritenersi idonee ad automaticamente escludere l’applicabilità dell’art. 2051 cc. Ha per altro verso negato che l’uso generalizzato e l’estensione della res possano considerarsi quali dati rilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode ex art. 2051 cc (Cass. Civ. Cass. Civ. 15 gennaio 2003 n. 488), cui può riconoscersi semmai rilievo sotto il diverso profilo della prova del fortuito (Cass. Civ. 1 ottobre 2004 n. 19653). Ha, altresì, precisato che dalla responsabilità di cui si discute la PA può liberarsi solamente fornendo la prova del fortuito (Cass. Civ. 2 aprile 2004 n. 6515). Nel 2006, con due importanti pronunce, la Corte ha infine messo mano ad un vero e proprio revirement: con le decisioni Cass. Civ. 20 febbraio 2006 n. 3651 e Cass. Civ. 14 marzo 2006 n. 5445. La Cassazione, con gli arresti in parola, ha adottato un’applicabilità “pura” della norma di cui all’art. 2051 cc alla PA non mediata da requisiti non previsti dall’enunciato normativo in esame quali una estensione limitata atta a consentire la custodia posto che la norma di cui all’art. 2051 cc non richiede, invero, altri e diversi presupposti applicativi.
Ha però ricondotto la responsabilità del custode nell’alveo delle responsabilità cosiddette aggravate, in cui la colpa resta elemento costitutivo dell’illecito ma si registra una inversione dell’onere della prova che favorisce il danneggiato. Ha, in particolare, disatteso l’orientamento secondo cui la prova positiva del fortuito, contraria alla presunzione di responsabilità, consiste nella prova del fatto estraneo alla sfera “di custodia”, e in particolare del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, ritenendo che la prova del fortuito attenga piuttosto al profilo della mancanza di colpa, la quale emerge invero anche argomentando dall’imprevedibilità ed inevitabilità dell’evento che proprio tale mancanza valgono sostanzialmente ad attestare, anzicchè, come pure prevalentemente si sostiene, alla mancanza del nesso causale (Cass. Civ. 20 ottobre 2005 n. 20317). Nel 2006, comunque, si giunge ad una risistemazione della materia, in punto di responsabilità della PA per omessa manutenzione del demanio stradale. Il ragionamento che sostiene tali regole giurisprudenziali è il seguente: 1) in linea di principio è applicabile alla PA la responsabilità del custode, di cui all’art. 2051, senza che elementi estranei alla disposizione in esame possano giustificare un trattamento diversificato: la PA, pertanto, si libera della responsabilità fornendo prova del fortuito (inteso ora come interruzzione del nesso causale; ora come mancanza di colpa); 2) il danneggiato, comunque, può agire nei confronti della PA ricorrendo alla clausola generale di cui all’art. 2043, all’uopo non dovendo fornire prova della cd insidia; il trabocchetto, infatti, non è dalla norma di cui all’art. 2043 cc contemplato, trattandosi di figura di elaborazione giurisprudenziale che, movendo da esigenze di limitazione delle ipotesi di responsabilità, finisce tuttavia per risolversi, laddove viene a porsene la relativa prova a carico del danneggiato, in termini di ingiustificato privilegio per la PA; 3) l’insidia o trabocchetto può sul piano probatorio considerarsi viceversa rilevante laddove al proprietario di strade pubbliche è consentito dare la prova cd liberatoria, dimostrando cioè di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire ed impedire che il bene demaniale presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto produttiva di danno a terzi, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, al fine di fare in sostanza valere la propria mancanza di colpa e, se del caso, il concorso di colpa del danneggiato. Di lì a poco, le cose cambieranno di nuovo: si sgretola l’ultimo tassello granitico della responsabilità ex art. 2051 cc e, cioè, la sua quantificazione giuridica in termini di responsabilità per colpa presunta.
2Tali considerazioni sono state sviluppate compiutamente in particolare da una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. III 1 ottobre 2004 n. 19653) la quale ha così statuito: “… nei confronti della P.A. non opera alcuna automatica esclusione del regime di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, nemmeno qualora il bene demaniale o patrimoniale, da cui sia derivato l’evento pregiudizievole sia adibito ad uso generale e diretto da parte della collettività ed abbia notevole estensione …). Il tema è stato affrontato anche dalla Corte costituzionale, la quale, con sentenza interpretativa di rigetto, nel ritenere infondata la questione di legittimità degli artt. 2043, 2051, 1227 comma I cc, in rapporto agli artt. 3, 24 e 97 Cost., ha chiarito che il proprietario di una res che abbia cagionato danni a terzi è responsabile ex art. 2051 cc soltanto in quanto custode, per essere stato oggettivamente in grado di esercitare il relativo potere di controllo e di vigilanza; conseguentemente, alla P.A. non è applicabile la suddetta norma allorchè non sia possibile per la notevole estensione della cosa e le modalità d’uso, diretto e generale, da parte dei terzi, esercitare un controllo continuo, idoneo a impedire l’insorgenza di una situazione di pericolo per la pubblica utenza. La Corte precisava che “la notevole estensione del bene e l’uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici dell’impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non già in virtù di un puro e semplice riferimento alla natura demaniale e all’estensione del bene, ma solo a seguito di un’indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità” (Corte costituzionale 15 maggio 1999 n. 156). Identico indirizzo della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. III 20 novembre 2009 n. 24529): agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è applicabile l’art. 2051 cc, in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione.
3Nel solco dell’indirizzo in esame, la Cassazione ha avuto modo di ricondurre ancora più puntualmente la materia a razionalità con la decisione n. 15042 del 6 giugno 2008. Nell’arresto che si segnala, il Collegio afferma che affinchè la PA possa andare esente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 per i danni causati da beni demaniali, occorre avere riguardo non solo e non tanto all’estensione di tali beni od alla possibilità di un effettivo controllo su essi, quanto piuttosto alla causa concreta (identificandosene la natura e la tipologia) del danno. Se, infatti, quest’ultimo è stato determinato da cause intrinseche alla cosa (come il vizio costruttivo o manutentivo), l’amministrazione ne risponde ai sensi dell’art. 2051 cc; per contro, ove l’amministrazione, sulla quale incombe il relativo onere, dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (come ad esempio la perdita o l’abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili, né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità per cose in custodia in relazione all’art. 2051 cc. Nella decisione citata, il Collegio chiaramente distingue quelli che possono essere considerati oggi “gli assi” portanti della norma nel giudizio contro la PA: i fattori intrinseci e quelli estrinseci. I primi conducono ad un giudizio di responsabilità della PA; i secondi sono idonei ad escludere che questa sia da ritenere custode responsabile. La distinzione si riflette sul piano probatorio. Se si conclude nel senso indicato dalla più recente giurisprudenza dela Cassazione, infatti, il limite della responsabilità deve essere individuato nell’intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno: ed, allora, si deve ritenere, conseguentemente, che, in tema di ripartizione dell’onere della prova, all’attore compete provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l’esistenza “di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può anche essere il fatto di un terzo e dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del dannegiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227 comma I cc, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l’incidenza della colpa del danneggiato (Cass. Civ. 8 maggio 208 n. 11227). Quanto impercettibile posa considerarsi il peso della condotta dell’utenete, è testimoniato dal seguente ltimo arresto della Corte: “nel caso di specie si rileva l’anomala, imprevedibile, collocazione di un contenitore di rifiuti in prossimità del centro della sede stradale; l’inevitabilità dell’ostacolo determinata dalla collocazione immediatamente dopo un’accentuatissima deviazione della sede viaria dall’asse rettilineo tale da incidere sulla possibilità di immediata percezione dell’ostacolo. Pertanto, si configura l’esistenza dei requisiti dell’insidia che integrano gli estremi di responsabilità, ex art. 2043 c.c., dell’ente titolare della strada, prescindendo del tutto dalle previsioni dell’art. 2051 c.c., relative alla responsabilità del custode. A tal proposito, gli obblighi di vigilanza previsti dal codice della strada a carico dell’ente titolare della stessa sono particolarmente cogenti, tali da imporre un continuo controllo ed in specie: la sussistenza di un pregnante obbligo di controllo delle sedi viarie e l’estensione dell’attività di vigilanza e controllo fino alle pertinenze della sede stradale e delle connesse attrezzature, impianti e servizi”. (Cass. Civ. Sez. III 14 luglio 2009 n. 16374).
4Nel concetto di caso fortuito non deve essre compreso solo il casus fortuitus, inteso come fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento, ma anche il fatto del danneggiato o del terzo.