Con le ultime sentenze del’11 novembre 2008, le maggiori spese sembra averle fatte il danno morale, soprattutto in tema di micropermanenti. Le imprese assicuratrice hanno letto il dato testuale delle sentenze, disapplicando la prassi della percentualizzazione del danno morale rispetto al danno biologico, e conseguentemente la prassi della valutazione equitativa, finendo per negarla tout court. A dire il vero, è’ stata stabilita con forza la necessità di prendere in considerazione, tranne che per le questioni di carattere bagattellare, il danno non patrimoniale, nei suddetti casi: 1) quando nella fattispecie sia ravvisabile un’ipotesi di reato ex art. 185 c.p.; 2) quando sia espressamente previsto da leggi ordinarie1; 3) quando sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona, costituzionalmente qualificato2.
Dopo aver esaminato la sentenza SS.UU 11 novembre 2008 n. 26972, sotto il profilo del danno esistenziale, riesaminiamo la stessa la quale sembra aver “somatizzato” il danno morale nell’ambito del danno biologico. Ecco il passo incriminato (il punto 4.9): definitivamente accantonata la figura del cd. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Riassumendo i principi enunciati dalle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, pare che esistano due danni morali: danno morale puroe danno morale patologico. Ricorre il primo ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad es., dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ricorre il secondo ove il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti siano accompagnati da degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Integra danno non patrimoniale risarcibile. Non è, però, una autonoma sottocategoria di danno ma una formula descrittiva di un tipo di pregiudizio. Determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale. Accantonando la prima figura di danno morale (puro), perchè questa interesserebbe solo nel caso in cui l’unico danno da richiedere fosse il danno morale (diffamazione, per esempio, materia per penalisti). E’ chiaro che in questo caso, l’unico danno da pagare è il danno morale e va quindi riconosciuto. Il problema è quando il danno morale convive con il danno biologico e quindi abbiamo a che fare (sempre) con il danno morale patologico. A questo punto, le considerazioni sono le seguenti: le stesse sezioni unite, nel tentativo di far rientrare danno biologico, morale ed esistenziale nell’unica voce del danno non patrimoniale ex art. 2059 cc, sembrerebbero escludere il danno morale, riducendolo quindi ad una “formula descrittiva” del danno non patrimoniale. Le Sezioni Unite indicano che “il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile”, poiché “pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone”. E a questo riguardo rassicurano le stesse Sezioni U
nite, là dove chiariscono che la selezione degli interessi da presidiare è affidata, in via di interpretazione, al giudice; questi è “chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona (…)”; e, nondimeno, il giudice non potrà prescindere dagli artt. 2 e 3 della Carta, dal cui bacino (come fin qui ha mostrato la giurisprudenza) sono enucleabili, in un continuo work in progress, figure emergenti di diritti meritevoli di salvaguardia. E’ quanto si trova ribadito, del resto, nella pronuncia:“Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù, dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interpreterinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana”3. Questo passaggio di chiusura sembra proprio che le imprese assicuratrici non riescano a concepirlo, come se il testo della sentenza mancasse di questa pagina. Il principio è stato poi ribadito dalla III Sezione, la quale, con sentenza del 25 settembre 2009 n. 20684, ha ribadito che in questo terz’ultimo caso, al contrario delle prime due ipotesi, i diritti violati non possono essere individuati ex ante dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.Tuttavia, se da questo momento non dobbiamo più parlare di danno biologico, morale ed esistenziale ma solo di danno non patrimoniale ex art. 2059 cc, evitando quindi duplicazioni di risarcimento, dobbiamo rileggere ancora una volta, e meglio, la parte finale del passo: “Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. L’art. 139 del dlgsl 209/2005 recita: “per danno biologico s’intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico fisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito”. In altri termini esiste un danno biologico statico ed un danno biologico dinamico: il danno biologico statico è la violazione dell’integrità psico fisica; il danno biologico dinamico è la violazione dell’integrità psico fisica che incide negativamente sull’attività quotidiana non lavorativa. Questo secondo tipo di danno biologico, a modesto avviso dello scrivente, non è altro che il danno esistenziale temporaneo (non posso lavarmi, vestirmi, fare la spesa, correre, andare a ristorante, in chiesa, ecc…), ossia una forzosa rinuncia all’espletamento di un’attività non remunerativa. Pertanto, nel momento in cui si ritiene di escludere l’applicazione sic et simpliciter di una porzione (da ¼ a ½) del danno biologico a titolo di danno morale, s’impone di (testualmente) procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”. Si ritiene, pertanto, che ottenere un danno morale pari ad un ¼ del danno biologico sia un minus rispetto alla personalizzazione del danno biologico statico e dinamico richiesto dall’art. 139. Il principio enunciato dalle SS.UU già mostra segni di cedimento da parte delle stesse sezioni..Con la Cass. Civ. Sez. III 28 novembre 2008 n. 28407, il danno morale gode di propria autonomia ontologica rispetto al danno biologico. “L’autonomia ontologia del danno morale rispetto al danno biologico, in relazione alla diversità del bene protetto, appartiene ad una consolidata, giurisprudenza di questa Corte, che esclude il ricorso semplificativo a quote del danno biologico, esigendo la considerazione delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto e pervenendo a
d una valutazione equitativa autonoma e personalizzata”. E’ l’esatta applicazione in sentenza di quanto richiamto nel punto 1.Con la Cass. Civ. Sez. III 12 dicembre 2008 n. 29191, il danno morale è dotato di propria autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute. “La voce “danno morale” è dotata di logica autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona”. Con questa sentenza, la Terza Sezione rincara la dose. Il danno morale non è più una nozione descrittiva del danno non patrimoniale, ma ha una propria autonomia.Con la Cass. Civ. Sez. Lav. 19 dicembre 2008 n. 29832, il danno morale e biologico non sono categorie di danno ma il giudice ne deve tenere comunque conto ai fini della liquidazione del risarcimento, in quanto “descrivono” la lesione subita. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati, risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno, delle quali comunque il giudice deve tener conto al fine di poter addivenire, con un procedimento logico e corretto, alla determinazione quantitativa del danno in concreto riconoscibile, in modo da assicurare un risarcimento integrale. La Sezione Lavoro fa un passo indietro ritenendo nuovamente il danno morale categoria non autonoma, ma “nozione descrittiva” del danno non patrimoniale, ma non può fare a meno di ammettere la necessità di un risarcimento integrale. Con la Cass. Civ. Sez. III 13 gennaio 2009 n. 479 la liquidazione del danno morale deve avvenire soprattutto per le lesioni gravi. “Merita accoglimento il motivo di ricorso, in cui si deduce la violazione di legge (art. 2059) per la mancata liquidazione del danno morale contestuale alle lesioni gravi”. La sentenza Cassazione civile, del 13 gennaio 2009, rema in direzione alquanto contraria a quella suggerita dalle SS.UU. 2008 o, se si vuol dire, ne interpreta ortopedicamente il decisum. Nelle sentenze gemelle dell’11.11.2008, il Collegio aveva chiaramente affermato che se la sofferenza è accompagnata da degenerazioni patologiche il danno morale non va liquidato assieme al biologico. Altrimenti detto: se c’è danno alla salute, va risarcito il danno biologico dinamico (che comprende ed assorbe il morale). Ma la decisione in commento è di tutt’altro avviso. E’ una violazione di legge (art. 2059) negare il risarcimento del danno morale. Il punto di rottura è il seguente. I giudici di merito avevano già liquidato il biologico (ma non il morale). Se il Collegio avesse confermato la lettera delle SS.UU. 2008, dinanzi alle censure concernenti la mancata liquidazione del morale in caso di presunzioni, questi avrebbe, comunque, affermato che andava liquidato il solo biologico seppur con adeguamento ai risvolti “dinamici”. Ma così non è. L’orientamento sposato, secondo il Consesso, è “consolidato da sentenze successive conformi, da ultimo appare confermato nel punto 2.10 della motivazione della sentenza 2008/26972 dell’ 11 novembre 2008”. Ritorna citato, cioè, il punto 2.10. Pertanto il giudice del rinvio è vincolato al rispetto del seguente principio di diritto: “la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell’autore del danno, ancorché vi sia l’accertamento del pari concorso di colpa ai sensi del secondo comma dell’art. 2054 cc”. Concludendo: il punto n. 4.8 della sentenza a Sezioni Unite (11.11.2008) non va letto isolatamente. Si tratta di un principio di diritto da leggere in combinato disposto con il punto n. 2.10. Non deve stupire, in tal senso, che la quasi integralità delle sentenze successive alle SS.UU. abbia (di fatto) ignorato il punto 4.8. (che afferma l’assorbimento del morale nel biologico) e ripetutamente citato il 2.10 (che traccia l’evoluzione del morale in seno al 2059 c.c.). Un paradossale dietro front emerge nella sentenza 25 febbraio 2009 n. 4493 ove la III Sezione Civile, contrariamente a quanto essa stessa aveva detto insime alle altre sezioni l’11.11.2008, afferma che “il giudice di pace può disporre l’indennizzo del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge (sentenze di equità, sostanzialmente) e di quelli attinenti alle lesione dei valori della persona umana costituzionalmente protetti …”. In altri termini, il danno morale deve essere risarcito. Infatti, l’applicazione del terzo ovvero del quarto del biologico come danno morale, non è altro che una scorciatoia, ossia un ricorso ad una valutazione equitativa. Se “il giudice di pace può disporre l’indennizzo del danno non patrimoniale anche fuori dei casi determinati dalla legge …”, deve necessariamente intendersi che il danno morale va riconosciuto equitativamente. Contraddizione talmente ovvia che non si reputa neppure necessario di insistere sull’argomento. La Corte, con sentenza n.16448/2009 della Terza Sezione Civile ha affermato che “l’unica possibile forma di liquidazione – per ogni danno che sia privo, come quello biologico e quello morale, delle caratteristiche della patrimonialita’ – e’ quella equitativa. Infatti, una precisa quantificazione pecuniaria e’ possibile in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non puo’ mai essere provato nel suo preciso ammontare, fermo restando il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto a quel determinato risultato”. In particolare, spiega la Corte “la liquidazione del danno biologico puo’ essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, e puo’ essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse “tabelle” utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale in misura pari ad una frazione di quan
to dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico, purche’ il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi “personalizzato”, tenendo conto della particolarita’ del caso concreto e della reale entita’ del danno, con la conseguenza che non puo’ giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie”. Inoltre, lo stesso legislatore, con il D.P.R. 37/2009, sebbene in mteria di caue di servizio per il personale impigato nelle missioni militari all’estero, è intervenuto a sancire che il danno biologico è diverso da quello morale, così che quest’ultimo non può rientrare negli angusti limiti di cui agli artt. 138-139 del codice delle assicurazioni: il danno morale non è per nulla stato espunto dall’architettura della responsabilità civile e neanche può ritenersi interamente assorbito in quello biologico c.d. omnicomprensivo, tanto più che quest’ultimo riguarderebbe la salute (nel senso di malattia nel corpo e/o nella mente), ex art. 32 Cost., mentre il primo la dignità umana, ex artt. 2-3 Cost. Recita, a conferma di quanto detto, l’art. 5 del suddetto D.P.R. 37/2009. Il danno morale dovrebbe essere calcolato, in aggiunta al biologico, caso per caso, tenendo conto della entita’ della sofferenza e del turbamento dello stato d’animo, oltre che della lesione alla dignita’ della persona, connessi e in rapporto all’evento dannoso, in una misura fino a un massimo di due terzi del valore percentuale del danno biologico. Sempre il legislatore, con d.P.R. 30 ottobre 2009 n. 181, non solo continua a tenere distinte le due voci di danno ma addirittura offre una nozione di danno morale: all’art. 1 definisce il danno morale il pregiudizio non patrimoniale costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato. Un ulteriore e definitivo colpo viene assestato persino della seconda sezione della Corte, la quale con sentenza dell’ 11 giugno 2009 n. 13530, ha definitivamente corretto e statuito che “… le poste non patrimoniali devono essere unitariamente risarcite, sulla base di una valutazione ponderale analitica compiuta dal giudice del merito, che deve considerare il diverso peso dei beni della vita compromessi: il bene della libertà e della dignità umana della minore …. Non può stabilirsi a priori il maggior valore del danno biologico rispetto al danno morale, proprio perché questo ultimo non è soltanto “pretium doloris” , ma anche la risposta satisfattiva alla lesione della dignità umana, di cui tanto si discute per l’autodeterminazione delle scelte di vita e di fine vita …”. E non è finita certo qua. Dopo aver chiaramente definito il danno morale non più come solo transeunte turbamento dell’animo, ma ontologicamente autonomo semplicemente in quanto anche lesione della dignità umana, ha aggiunto “… e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi in diverse norme della Costituzione. Al contrario, il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave, in relazione all’attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale”. (!!!). Come se si trattasse del mantello tessuto da Penelope per Laerte, la Cassazione disfa, ancora una volta, la costruzione teorica che le Sezioni Unite avevavo consegnato agli interpreti. Con sentenza del 19 gennaio 2010 n. 702 la III Sezione della Cassazione Civile chiarisce ulteriormente che il danno morale è voce di danno dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto. Con ulteriore arresto del 10 marzo 2010 n. 5770, la III Sezione afferma che la liquidazione del danno morale deve tener conto delle condioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto e risarcire la persona delle sofferenze subite e nulla vita che sia liquidato in proporzione al danno biologico. In via cronologica, il legislatore offre un ulteriore apporto alla causa del danno morale con la legge del 15 marzo 2010 n. 38 recante “disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. All’art. 7 ha introdotto l’obbligo di riportare la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica dei pazienti, precisando che “devon essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i reltivi dosaggi e il risultato antalgico conseguito”. Coò si ricollega all’esigenza di riconoscere e preservare una idonea terapia del dolore a favore del paziente, cui si associa il progetto “Ospedale senza dolore”. La “terapia del dolore” persegue lo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico – terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore (art. 2 comma I lett.b) guardando ai princìpi fondamentali ove è scolpita, nell’art. 1 comma I lett. a), la tutela della dignità del malato. Il dolore crea, insomma, una lesione dell’integrità morale della perosna che si traduce in uno strappo della sua dignità, poiché chi soffre, spesso, degrada in condizioni umane prossime al disastro esistenziale. A parere di chi scrive, l’analisi qui condotta mostra che le Sezioni Unite hanno utilizzato il principio della valutazione unitaria del danno quale schermo sotto il quale nascondere, non condivisibilmente, un’operazione: quella mirante a liquidare non già un generico pregiudizio non patrimoniale complessivamente inteso, bensì una soltanto delle sue componenti, con funzione assorbenti rispetto alle altre. Per fortuna che le Sezioni, la terza ed ora anche la seconda, senza averlo detto chiaramente, dietro un’adesione di facciata ai principi formulati dalle Sezioni Unite, fondate su ragioni opportunistiche, stanno procedendo a smentite piuttosto evidenti.
1Compromissione di valori personali (art. 2 1. n. 117/199), danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; art 29, comma 9, 1. n. 675/1996; impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, d.lgsl 286/1998; adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 l 89/2001; mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo; il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico; tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto; violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost. (sent. n. 25157/2008).
2La gravità dell’ offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza verso il responsabile con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.
3 L’analisi riguardante l’art. 2059 cc deve storicamente prendere le mosse dalle fattispecie delittuose. Giusta la riserva in essa contenuta, secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale è ammesso “nei casi determinati dalle legge”, la possibilità di dar corso al risarcimento di tale danno doveva esser necessariamente collegata all’esistenza di una disposizione espressamente ammissiva del danno non patrimoniale; l’ipotesi più rilevante, tipica e di più coerente applicazione era quella di cui all’art. 185 cp. Tale situazione, rimasta cristallizzata per lungo tempo, è venuta ad arricchirsi negli ultimi anni in quanto il legislatore ha introdotto nell’ordinamento ulteriori norme volte ad affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale quali, ad esempio, l’art. 2 comma 1 L 13 aprile 1988 n. 117 sulla responsabilità civile dei magistrati, l’art. 29 ult. comma L 31 dicembre 1996 n. 675 relativa al trattamento dei dati perosnali, l’art. 44 comma VII d. lgs 25 luglio 1998 n. 286 in tema di immigrazione e di condizione dello straniero, l’art. 2 L. 24 marzo 2001 n. 89 in tema di ragionevole durata del processo, l’art. 4 d. lgs9 luglio 2003 n. 215 in tema di atti discriminatori, l’art. 3 comma III L. n. 67/2006 in tema di discriminazione nei confronti dei soggetti disabili. Questa, dunque, era la tradizione che è stata interrotta dalle sentenze Cass. Civ. 31 maggio 2003 n. 8287 e 8228. Nelle motivazioni di queste è affermato, difatti, che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 non può essere identificato con il solo danno morale soggettivo, ma ache con tutti quei danni determinati dala leione di interessi inerenti alla persona non connotati di rilevanza economica e costituzionalmente garantiti; e che il rinvio alla legge contenuto nello stesso articolo 2059 cc (questo è il passaggio storico) va inteso in modo estensivo (ampliando il modello ex art. 185 cp) così da riferire la risarcibilità di tale danno anche alle previsioni contenute nella Costituzione. Tesi interpretativa a cui ha posto successivamente un indelebile siggillo il giudice delle leggi (Corte Cost. 11 luglio 2003 n. 233). Rientrano, pertanto, nella previsione dell’art. 2059 cc il danno morale soggettivo inteso come transeunte turbamento dell’animo, il danno biologico inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psico fisica della persona conseguente ad un accertamento medico e, infine, il danno esistenziale derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.