Grazie all’impegno esegetico di illustre studioso al quale si rende omaggio1, la teorizzazione di una responsabilità da contatto sociale poggia sulla considerazione dell’obbligazione non più come un rapporto lineare incentrato sul solo dovere di prestazione, ma come una complessa relazione interindividuale fra creditore e debitore nella quale, accanto al dovere primario di prestazione, sussistono altresì una serie di obblighi accessori di protezione e cura della sfera giuridica della controparte, i quali vengono a loro volta fondati sulle norme codicistiche che prevedono l’obbligo, per le parti del rapporto stesso, di comportarsi secondo correttezza, buona fede e diligenza2.
Sulla scorta di questa considerazione, la dottrina e la giursisprudenza hanno teorizzato delle nuove figure di responsabilità civile, le quali troverebbero in ultima analisi la propria giustificazione nel venire in contatto di due soggetti del traffico, di cui uno riveste la qualifica di operatore professionale: proprio in virtù della posizione qualificata che occupa all’interno del mercato, tale soggetto susciterebbe in quello che con lui entra in relazione un particolare affidamento circa la sua capacità di eseguire le prestazioni professionali cui è tenuto nel rispetto dei principi di prudenza, perizia, diligenza e correttezza che sono propri dell’attività esercitata, aloro volta ricavabili dal contesto sociale, scientifico, culturale e metodologico proprio del settore professionale in cui egli è inserito. Questo affidamento del soggetto non rivestito di alcuna qualifica professionale farebbe comunque nascere in lui la convinzione a tenore della quale il professonista, mentre esercita nei suoi confronti la prestazione cui è tenuto in forza di un titolo esterno rispetto al contatto, sia in grado, proprio in virtù del rispetto dei superiori principi di diligenza e correttezza che lo riguardano, di non ledere alcun suo interesse personale o patrimoniale: ne conseguirebbe, secondo la dottrina in precedenza citata, che dal fatto storico del contatto sociale così qualificato, sorgerebbero, in capo all’operatore professionale, degli obblighi di prestazione della persona che con lui è entrata in relazione, pur avulsi da un obbligo primario di prestazione: qualora questi obblighi di protezione dovessero risultare disattesi, il loro inadempimento sarebbe da sanzionare facendo ricorso alla disciplina dell’art. 1218 cc e non a quella dell’art. 2043 cc, perchè si tratterebbe, comunque, di obbligazioni nate dal contatto sociale il quale, a sua volta, sarebbe un fatto idoneo a produrre vincoli obbligatori nel senso dell’art. 1173, ultima parte, del codice. Tale tesi, è ormai inutile ribadirlo data la sua amplissima diffusione, è stata applicata dalla giurisprudenza (Cass. Civ. 30 giungo 2011 n. 14405; Cass. Civ. 1 febbario 2011 n. 2334; Cass. Civ. 16 gennaio 2009 n. 975; Cass. Civ. Sez. Un. 11 gennaio 2008 n. 577; Cass. Civ. 19 aprile 2006 n. 9085; Cass. Civ. 22 gennaio 1999 n. 589) innanzitutto alla figura del medico dipendente da struttura sanitaria pubblica, il quale durante lo svolgimento della prestazione diagnostica o terapeutica cui è tenuto nei confronti del nosocomio suo datore di lavoro, causa un danno alla persona del paziente che alla sua arte era stato affidato dalla direzione amministrativa dell’ente clinico: il medico dunque, non avendo un obbligo di prestazione verso il paziente, essendo, a rigore, in questo senso obbligato solo verso il proprio datore di lavoro, nell’eseguire tale prestazione è comunque soggetto ad una serie di obblighi di protezione della sfera giuridica del malato che nei suoi confronti riversa un consistente affidamento e l’inadempimento di essi, secondo lo schema descritto, lo porta a rispondere del proprio operato ex art. 1281 cc verso il danneggiato, il quale sitrova così ad essere avvantaggiato processualmente sia dal punto di vista dell’onere probatorio, mitigato dal principio della vicinanza alla fonte di prova, che da quello dei termini prescizionali. Il descritto schema logico è stato applicato dalla giurisprudenza anche alla fattispecie concernente la responsabilità dell’insegnante dipendente di scuola pubblica per i danni autoinfertisi dal suo allievo con condotta autolesionistica, nonché ad altre ipotesi di minore ricorrenza pratica3.