Corte di Cassazione, Sezione III 7 maggio 2014 n. 9864. La Corte di Cassazione ha affermato più volte che le missive antecedenti l’inizio del processo e le affermazioni contenute negli atti processuali provenienti dal legale della parte non hanno valore confessorio, ma solo carattere indiziario, e come tali possono essere legittimamente utilizzate e liberamente valutate dal giudice ai fini della formazione del proprio convincimento (sentenza 8 agosto 2002, n. 11946); ha più volte ribadito, altresì, che le dichiarazioni rese dal difensore, anche in giudizio, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte non hanno efficacia di confessione ma costituiscono elementi di libero apprezzamento da parte del giudice di merito (sentenze 16 ottobre 2003, n. 15515, e 8 maggio 2012, n. 7015). Il che, tra l’altro, è in linea con il principio del nostro diritto processuale secondo cui la confessione, intesa nei termini di cui all’art. 2730 c.c., è atto di parte, sia essa spontanea oppure provocata tramite interrogatorio formale. In una fattispecie regolata da questa sentenza, la corrispondenza intercorsa tra i legali delle due parti aveva la finalità di pervenire ad una soluzione del contenzioso esistente tra i due ex conviventi e non potevano essere estrapolate frasi al fine di fondare sulle medesime un riconoscimento del debito che in realtà non vi era stato.
di Carmine Lattarulo